Il Pugilato e la Crisi della Mascolinità: Riflessi della Decadenza Valoriale Occidentale

Dr. Marco Inghilleri

 

 

Il pugilato, un tempo simbolo di coraggio, onore e resistenza, vive oggi una crisi che non può essere letta unicamente attraverso la lente del declino di uno sport, ma che riflette una più ampia trasformazione culturale e valoriale della società occidentale. Questo articolo esplora il legame tra la crisi del pugilato, la mascolinità e l’evoluzione della gestione del conflitto nella modernità.

Un rituale perduto

Il pugilato è stato a lungo una metafora della vita: sul ring, l’individuo affrontava il conflitto, accettando la possibilità della sconfitta per affermare la propria dignità e i propri valori. Nella società tradizionale, questa filosofia permeava anche i rapporti interpersonali. La frase “ti aspetto fuori” non era solo una minaccia, ma un rito: un modo di risolvere le controversie senza l’intervento di autorità esterne, in un confronto diretto che, paradossalmente, rinsaldava i legami di rispetto reciproco.

Oggi, questa dinamica è quasi completamente scomparsa. L’aggressività, elemento naturale dell’essere umano, è stata stigmatizzata e repressa. Il risultato è un dualismo pericoloso: da un lato, la soppressione dell’aggressività genera frustrazione e insicurezza; dall’altro, questa energia repressa esplode in episodi incontrollati di violenza, spesso privi di senso o scopo.

La mascolinità in crisi

La crisi del pugilato è strettamente intrecciata con quella della mascolinità. La figura tradizionale del maschio, capace di proteggere, agire con coraggio e gestire il conflitto, è stata messa in discussione dalla modernità e dai movimenti culturali postmoderni. Se da un lato ciò ha portato a una giusta rivalutazione dei ruoli di genere, dall’altro ha anche indebolito alcuni archetipi positivi legati alla mascolinità.

Il pugilato, in questo contesto, non è solo uno sport, ma un luogo dove si può (o si poteva) apprendere a gestire l’aggressività in modo costruttivo. Sul ring, ogni colpo, ogni caduta, ogni risalita diventa una lezione di vita. La sua progressiva marginalizzazione riflette una società che non sa più come affrontare il conflitto, preferendo evitarlo o delegarlo ad autorità esterne.

La repressione dell’aggressività e i suoi effetti

La criminalizzazione dell’aggressività, che è spesso confusa con la violenza, ha privato molte persone della possibilità di esprimere questa energia in modo regolato e ritualizzato. L’aggressività, se canalizzata, non è distruttiva ma creativa: è la forza che spinge a difendere i propri ideali, a proteggere chi si ama, a superare le difficoltà.

In assenza di spazi sicuri per questa espressione, si osservano due fenomeni opposti ma complementari: un diffuso senso di apatia e impotenza da una parte, e un aumento di episodi di violenza incontrollata dall’altra.

Riscoprire il pugilato come metafora e pratica

La crisi del pugilato potrebbe essere trasformata in un’opportunità. Tornare a vedere il ring non solo come un luogo di competizione, ma come uno spazio educativo e formativo, potrebbe rispondere a molte delle sfide della società contemporanea. Il pugilato può insegnare il rispetto per l’altro, la gestione del conflitto e la resilienza, valori di cui abbiamo urgente bisogno in un mondo frammentato.

Rivitalizzare il pugilato significa anche riconciliarsi con una visione dell’essere umano che accetta il conflitto come parte integrante della vita, senza demonizzarlo, ma imparando a gestirlo con onore e consapevolezza.

Bibliografia di riferimento

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